Piume d’angelo

002. pic Il cielo sopra Berlino

Wim Wenders, Il cielo sopra Berlino (1987)

Una sera, a Berlino, in un caffè dalle parti di Alexander Platz, bevevo qualcosa insieme all’amico Bruno G. Ce ne stavamo lì, a parlottare sottovoce e, soprattutto, a origliare la conversazione di due uomini seduti vicini al nostro tavolo.

– Ti stai abituando?

– Si, poco per volta. E tu?

– Così così. Ho ancora difficoltà ad accettare il dolore e la stanchezza.

– A me invece dà fastidio il sangue. Quello degli altri, intendo. Il mio l’ho assaggiato: buono, caldo, ma non riesco a guardare il sangue degli altri.

Erano eleganti e malinconici. Volti nobili e voci bellissime, sempre sul punto di annunciare qualche verità o svelare un mistero.

– Ieri sono stato a lezione di tristezza. Da un clown.

– Ma i clown non fanno ridere?

– Vero, ma da lui ho imparato a nascondere la malinconia dietro al sorriso. Sono strani gli uomini, vedrai. Devono sempre nascondere quello che provano sotto una maschera.

– A me, però, gli uomini piacciono. Per esempio, invidio loro le immagini:  quadri, fotografie, cinema. Un mondo dove si rifugiano quando non ne possono più di quello in cui vivono.

– Io, invece, agli uomini invidio i sogni. Chissà se anche noi, un giorno, riusciremo ad averne.

– Le hai più viste?

– Cosa?

– Le nostre ali.

– No. Perse. Per sempre. Mi è rimasta solo una fotografia: due piume bianche impigliate in una persiana.

– E non hai nostalgia?

– Si. Mi manca il cielo. E tu?

– Il volo. Mi manca il volo.

Al momento di pagare, il padrone del caffè ci disse che il nostro giro di birre era stato offerto da quei due. Bruno e io ci voltammo di scatto. Volevamo ringraziare, offrire da bere anche noi. Ma non c’erano più. Spariti. Scoprimmo allora che, oltre ad averci offerto le birre, avevano lasciato per noi un fascicoletto, consumato da mani e letture diverse, che si intitolava: Manuale di Volo. Per Angeli, Aquile, Aquiloni, Poeti e Visionari.

 

(Una versione radiofonica è stata registrata il 19 dicembre 2019 a Nova Radio, Parole di luce)    https://podcast.novaradio.info

 

 

 

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Monologo di un paesaggio davanti a un fotografo

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Fa freddo stamattina. Tutto è umido. Come tante e tante altre mattine. La nebbia evapora dai miei canali e il sole non riesce a scaldare i campi. È ancora presto.

Guardo quell’uomo, laggiù, vicino al castagno. Si guarda intorno: mi guarda. Con lentezza. Poi chiude gli occhi: inspira, espira, inspira, espira, con una cadenza delicata che mi ricorda i vapori nebbiosi che fluttuano a mezzo metro da terra. Chissà se lui si è accorto che il suo respiro si accorda al ritmo del mio respiro …

Poi riapre gli occhi: torna a guardarmi. Sembra in ascolto. Chissà se gli riesce di percepire anche solo una parte dei suoni che mi hanno attraversato nel tempo: le pale dei mulini, la vanga, l’aratro, il trattore o le voci di tutti quelli che hanno smosso le mie zolle. Per secoli. O le urla dei bambini tuffati nelle rogge, il passaggio dei Longobardi, la cadenza minacciosa dei francesi alla battaglia, gli zoccoli delle ronde austriache, il cigolio delle biciclette partigiane che correvano a nascondersi nei miei boschi. Chissà.

Poi, lui, mi guarda attraverso il mirino della macchina fotografica. Sento un fruscìo sottile: clic e lo vedo andare via, con il sorriso in volto. Chissà se quella immagine di me, che si porta via, gli basterà per ricordarmi o sentirà, comunque, la mia mancanza …

E quando, fra venti o trenta generazioni, nessuno si ricorderà più di lui, io lo ricorderò ancora: scolpito nella mia memoria, nei miei solchi, nei miei sentieri. Poi, magari, arriveranno altri fotografi e poseranno i piedi dove li ha posati lui, poseranno lo sguardo dove l’ha posato lui e io sarò lì anche per loro, con il mio respiro secolare, ad ascoltare il loro fruscii sottili: clic.

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Invidio te. Dialogo fra una nuvola e un fotografo

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Il cielo mi guarda. Una nuvola mi osserva e scruta ogni mio passo.

Guardo il cielo, l’azzurro e le sue nuvole. Ci guardiamo. Ci ascoltiamo.

NUVOLA

Invidio i tuoi passi. Ti invidio la terra che calpesti e gli odori che la pioggia notturna ha lasciato sul terreno e nell’aria.

FOTOGRAFO

Invidio il tuo cielo e l’aria che attraversi senza soste. Invidio la tua prospettiva e il silenzio che ti accompagna.

NUVOLA

Amico mio, la mia è solo invidia provvisoria. Con i primi venti di tramontana diventerò pioggia e le  mie gocce scenderanno a terra, mescolate ai tuoi passi. E rinascerò profumo e nebbia e frescura serale …

FOTOGRAFO

Amica mia, l’invidia mia è costante, perché posso raggiungerti solo con lo sguardo e con la poesia.

 

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Per una fotografia sentimentale

Sentimentale. Che ha a che fare con il sentimento. Cioè: con il sentire. E noi sentiamo con il corpo, non con la mente.

In altre parole: queste sono immagini raccolte (captate, come un rabdomante) con lo sguardo del corpo, non con lo sguardo della mente.

Immagini raccolte ascoltando Ruby’s Arms di Tom Waits. Nate dai brividi della pancia e dalla pelle d’oca fuoriusciti da un corpo in vibrazione, e questi brividi si sono riconosciuti in qualcosa, là, fuori, che vibrava alla stessa frequenza.

 

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Così. Prove di immaginario

 

Todd Hido 7373

Todd Hido, #7373, 2009, dalla serie “Houses at Night”

Essere fotografi significa notare i dettagli in superficie e come essi rappresentino qualcosa di più grande. Un po’ come essere un detective o uno psicologo.”  (Todd Hido)

 

– Perché mi guardi così?

(Silenzio. Solo il suono impreciso e metallico di una radiolina che trasmette In the neighborhood di Tom Waits)

– Rispondi. Perché mi guardi così?

– Niente.

– Niente?

– Niente.

– Insomma, vuoi dirmi perché mi guardi così?

– Non so. È tutto così strano.

– “Così” come? che vuoi dire?

– Voglio dire che tutto è tutto come non l’ho mai visto prima.

– Tutto cosa?

– Tutto. Il tavolo, la radio, questa canzone e questa casa, la luce della cucina, la mia faccia, tu …

– Che vuoi dire? Non ti vado più bene?

– … come se fra me e queste cose ci fosse una distanza incolmabile.

– Non ti senti bene?

– Sto bene. Solo che tutto è così strano.

– Non ti capisco quando parli così.

– Non importa. Esco a prendere un po’ d’aria.

(Sbatte una porta. Resta nell’aria un silenzio irrisolto e la canzone di Tom Waits che esce dalla radiolina)

 

[Dialogo immaginato con lo sguardo mentre guardavo #7373 di Todd Hido e ascoltavo In the neighborhood di Tom Waits]

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Le mele cadute

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2018. Campionario d’inverno #1 

Casa dall’intonaco scrostato che lascia trasparire mattoni rossi sbrecciati

Rami aspri e contorti di alberi nella nebbia

Nidi vuoti tra i rami messi a nudo dall’inverno

Masse di foglie marce e moribonde sul ciglio della strada

Furgone del latte che schizza fango con il suo passaggio nervoso

Scuolabus color giallo-desolazione con un solo bambino a bordo

Stormi di uccelli che fluttuano bassi nel cielo gonfio di freddo

Sacco della spazzatura abbandonato da giorni lungo la strada

Rose senza vita e colore nel giardino della canonica

Mozzicone bianco schiacciato da un trattore …

 

Le immagini sono dovunque, come mele cadute nell’erba, dove marciranno se il viaggiatore, con occhio amorevole e gusto per la bellezza – per qualsiasi bellezza – non si chinerà a raccoglierle.

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La mia anima si tuffa nell’acqua

 

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La mia anima si tuffa nell’acqua. Favignana, 2018

Nuovo sguardo, nuovo vedere. Fotografare nuovo. Il mio. Da qualche tempo.

Sguardo e fotografia che niente hanno da rivelare, che niente vogliono disseppellire dalla struttura del mondo. Nessun indizio da decifrare, nessuna speculazione. Solo una coscienza, una presenza immediata. Uno slancio, una fusione con le cose.

Il mio sguardo, la mia fotografia nuova. Rinvenuti in questo haiku del poeta Onitsura:

La mia anima si tuffa nell’acqua

e riemerge

con il cormorano

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Veli di illusione

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Favignana, 2018

Noi siamo ciò che vediamo e, quindi, poiché lo sguardo è atto centrale in Fotografia, noi siamo anche ciò che fotografiamo. O così sarebbe, se non fosse che la luce pura del nostro sguardo – che tutti abbiamo innata – con il tempo è diventata simile a una lampadina accesa che abbiamo ricoperto di tanti veli, uno sopra l’altro, fino a coprirla del tutto, fino a oscurarla. Sono i veli del condizionamento, dell’educazione, dell’imitazione, delle abitudini, dei pregiudizi, della cultura delle mode. Veli di illusione.

Ė a questo punto che avverto la mancanza di qualcosa e mi domando: Ma cosa vedo, cosa fotografo veramente? Allora provo a togliere, uno a uno, tutti i veli. Spoglio lo sguardo dalle illusioni e mi metto in cerca di quel qualcosa: la luce dentro di me e la pulizia dello sguardo davanti alle cose. Vado, velo dopo velo, alla riscoperta della Fotografia come gesto del presente, della presenza.

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Momenti antenati

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L’airone, 2017

Uno dei pregi o privilegi di diventare vecchi è il sentimento del tempo: la percezione, più estesa e profonda, dello scorrere delle cose e dei giorni, del loro accumularsi senza sosta. Sentimento che si manifesta in un gesto invisibile e potente: ricordare.

Capita, così, che quando incontri un volto, ascolti un profumo, guardi un’onda, una fioritura o inquadri un airone, in quel luogo e in quel momento si danno convegno tutti i volti, i profumi, le onde, le fioriture e gli aironi che ti hanno preceduto, che hai odiato o amato.

A questo punto, puoi scegliere se lasciarti precipitare, e perderti, in una geologia senza fine del passato o restare qui, seduto sopra tutti quei momenti antenati, a respirare il presente. Come un airone appoggiato sul riflesso di una cascina.

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Diario indiano. Gokarna. Il Tempo come esperienza

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Foto Shobha

A Gokarna i mattini hanno un ritmo fresco e millenario. I bramini tornano dalle abluzioni alla Vasca Sacra. Le botteghe aprono i battenti ed espongono mercanzie colorate, che le vacche sacre – dopo il torpore notturno – annusano prima dei pellegrini. Le donne, con gesti eleganti e polvere di gesso bianco, disegnano rangoli per terra, davanti all’uscio di casa.

La mattina guardo tutto questo e vedo la Vita vibrare e passare da un uomo all’altro, da una donna all’altra, da un animale all’altro, da un fiore all’altro, da una strada all’altra e ricongiungersi qui, nel mio respiro, nel mio sguardo.

 

Il Tempo come esperienza

India, Gokarna. Dal 7 al 14 gennaio 2918

Workshop con Shobha e Enrico Prada

www.motherindiaschool.it

sorayamotherindia@gmail.com

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