Da bambino, durante le vacanze, giocavo all’esploratore nei magazzini del nonno. Mi aggiravo tra montagne di sacchi di pula, di farinaccio, di gemma di riso impilati fino ai soffitti. Le scalavo fin dove potevo, contemplavo il paesaggio e poi scendevo a valle, nella penombra di corridoi che odoravano di juta. E mi piaceva disegnare la mappa di questo luogo: un po’ reale e in gran parte d’invenzione.
Non mi turbava il fatto che, un giorno si e uno no, i camioncini dei mangimifici venissero a portar via una parte di questo paesaggio, modificandolo. Io ricominciavo, con calma, tutto da capo: mi adattavo alle variazioni intervenute e ridisegnavo le mie mappe.
Credo sia nata lì la mia convinzione che il paesaggio non abbia consistenza certa, ma che sia fluttuante, variabile e in movimento continuo. E se lo vuoi rappresentare, devi ingaggiare con lui una paziente battaglia di osservazioni nel tempo, durante le quali lo sguardo, ogni volta, ricomincia da capo, adattandosi alle variazioni e ridisegnando le mappe precedenti.
E’ quello che avrei scoperto, molti anni dopo, studiando il ciclo dei dipinti che Monet dedicò alla Cattedrale di Rouen, la sua paziente battaglia con la luce delle diverse ore del giorno e delle stagioni.
(Chissà, da tutto questo potrei anche ricavare uno dei prossimi esercizi di ‘manutenzione dello sguardo’ per fotografi)
A questo punto devo proprio farti conoscere il mio percorso di tesi. Tra le mie massime suggestioni c’è proprio la Cattedrale di Rouen.
Attualmente sto lavorando a una risistemazione per rendere tutta la sostanza del testo più organica, in vista di un ciclo di conferenze che pare stare andando in porto. Non esiterò a condividere con te! E’ bello qui per me. Mi dà molti stimoli. I tuoi alunni sono fortunati a riceverli a lezione! 🙂
Grazie, Dorotea. Manda pure, quando vuoi. La ‘Valigia’ ti ospiterà ben volentieri: non solo come ‘commento’, ma – se ti va – anche come post. A presto.
Questa proposta è bellissima! 🙂 Grazie!
Son contento. Aspetto i tuoi materiali, allora.
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