Una volta Viktor Šklovskij ha scritto che “durante la stesura di un libro nascono milioni di possibili frasi, e da esse bisogna sceglierne centinaia, poi decine: i libri si fanno scrivendo e cancellando, nel tentativo di ridurli a una frase sola.”
Credo che la stessa cosa accada con le fotografie. Quando fotografiamo abbiamo davanti a noi migliaia e migliaia di attimi-immagine. Li lasciamo scorrere, li selezioniamo, li riduciamo – che so? – a una decina. Ma poi, di tutti gli scatti possibili, clic: la foto. Tutte le altre visioni sono svanite. E mi viene da pensare che, in fondo, ogni fotografia è uno stato provvisorio delle cose, la prova dell’inafferrabilità della vita. In un certo senso.
Penso anche che ogni foto, al di là delle apparenti certezze che ci consegna, sia invece un tentativo di comprensione di questa inafferrabilità. Per cui, ogni foto, è come se avesse un sottotitolo implicito e nascosto, di questo tipo: “Tentativo di paesaggio”, “Tentativo di lago”, “Tentativo di orizzonte”; oppure: “Studio per madre”, “Studio per strada affollata”, “Studio per alba” … Ad libitum