Ieri sera una ragazza tra il pubblico mi ha chiesto se, quando osserviamo il mondo attraverso il dispositivo fotografico, non ce ne stiamo un po’ allontanando.
Confesso che ho dovuto attraversare qualche secondo di silenzio prima di rispondere: stavo misurando la distanza che mi separava da quella domanda. Nel senso che, quella domanda, non me la sono mai posta.
Non me la sono mai posta perché la fotografia è sempre stata il mio modo di essere al mondo. Un comportamento del mio sguardo, della mia mente e di me, Uomo, che risponde a un impulso molto semplice: vivere la condizione di fotografo come qualcosa di necessario e irrinunciabile. Qualcosa di cui non posso fare a meno, perché determina il mio posto nel mondo e il mio modo di produrre significati.
(Ma ho promesso che mi sarei fermato a riflettere sulla questione, per meglio capire le ragioni di chi, invece, vede o subisce il dispositivo fotografico come un filtro anti emotivo, un impedimento alla partecipazione. Insomma, ormai quella domanda mi ha raggiunto e non posso non ascoltare ciò che ha da dirmi).